Una delle questioni oggi più dibattute nei tribunali e nelle commissioni tributarie d’Italia riguarda il termine di prescrizione delle imposte erariali (IRPEF, IVA, IRAP, etc.).

Come noto, la riscossione dei tributi e di tutte le entrate degli enti locali può avvenire o tramite ingiunzione fiscale o tramite la procedura del ruolo di cui al d.P.R. n. 602/1973 per mezzo della cartella esattoriale ogni qualvolta la riscossione sia affidata agli agenti della riscossione.

Il procedimento di riscossione mediante il ruolo è dettagliatamente disciplinato dalla legge ed inizia, per l’appunto, con la formazione del ruolo per proseguire poi con la sua trasmissione al soggetto incaricato della riscossione, oggi Agenzia delle Entrate Riscossione, il quale provvede alla formazione e alla notifica della cartella esattoriale.

La Cassazione definisce il ruolo come un atto amministrativo impositivo esclusivo dell’ente impositore nel quale sono iscritte tutte le somme dovute dai contribuenti che hanno il domicilio fiscale in comuni compresi nell’ambito territoriale cui il ruolo si riferisce.

L’iscrizione a ruolo, in concreto, consiste dunque nell’inserimento del debito accertato in un elenco formato dall’ente creditore e periodicamente inviato all’agente della riscossione affinché questo attivi le procedure di riscossione coattiva.

La funzione della cartella esattoriale è quella di porre il contribuente a conoscenza della sua posizione debitoria nei confronti dell’ente impositore a fronte di un credito ritenuto certo, liquido ed esigibile ma che, tuttavia, molto spesso nella realtà non presenta invece tali caratteristiche che ne legittimano la richiesta e il pagamento da parte del contribuente.

Non è infrequente, infatti, che l’agente della riscossione notifichi al contribuente cartelle di pagamento affette da vizi che ne inficiano il contenuto e/o la forma e rendono le cartelle medesime irregolari, nulle o addirittura inesistenti, con la conseguente inesigibilità delle relative somme.

Tra tali vizi rientra sicuramente quello relativo alla decorrenza del termine di prescrizione.

La prescrizione (insieme alla decadenza), altro non è che l’istituto giuridico che detta le scansioni temporali entro cui l’azione amministrativa deve essere esercitata e che devono essere rispettate ai fini della validità dei procedimenti.

Con riguardo ai termini di prescrizione delle imposte erariali non vi è alcuna specifica norma o disposizione di legge che individui un termine di prescrizione per i relativi crediti, cosicché, la questione è demandata alla disciplina generale sulla prescrizione di cui agli artt. 2946 e 2948 n. 4 del Codice Civile.

Più precisamente, l’art. 2946 prevede che “salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni”, mentre il richiamato art. 2948 n. 4 dispone che “si prescrivono in cinque anni (…) gli interessi, e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente o in termini più brevi (…)”.

Secondo tale interpretazione, Agenzia delle Entrate Riscossione ha sempre sostenuto, e ancor oggi sostiene, come le cartelle esattoriali recanti al proprio interno crediti erariali iscritti a ruolo dall’agenzia delle entrate siano soggette al termine di prescrizione ordinario decennale previsto dall’art. 2946.

Tale orientamento era stato in passato confermato anche da alcune pronunce della Corte di Cassazione: vedasi in proposito la n. 4283/2010, 2941/2007 e 9295/1993.

Di recente, i giudici della Suprema Corte hanno però mutato orientamento profilando un nuovo indirizzo interpretativo maggiormente condiviso e secondo il quale il termine per riscuotere i crediti erariali (IRPEF, IVA, IRAP, etc.) a seguito della notifica della cartella esattoriale e di qualsiasi altro atto amministrativo di natura accertativa non può che ritenersi quinquennale alla stregua di quanto già previsto per i tributi locali (ICI, IMU, tasse per lo smaltimento dei rifiuti etc.).

Ciò comporta che laddove l’Agente della Riscossione non provveda ad interrompere il decorso del termine stesso con la notifica di atti idonei in tal senso, il successivo provvedimento inviato al contribuente non potrà che ritenersi radicalmente nullo.

Tale principio è stato recepito dalla recente sentenza n. 30632 del 23 novembre 2018 della Quinta sezione Civile della Corte di Cassazione a conferma di un principio già stabilito dalla stessa Corte di Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n. 23397 del 17 novembre 2016.

La Suprema Corte ha osservato che la prescrizione quinquennale è giustificata da un ragionevole principio di equità che vuole che il debitore venga sottratto all’obbligo di corrispondere quanto dovrebbe per prestazioni già scadute tutte le volte che queste non siano tempestivamente richieste dal creditore.

Più nello specifico, la predetta decisione del 2016 ha affermato poi come la trasformazione da prescrizione quinquennale in decennale si perfezioni soltanto con l’intervento del “titolo giudiziale divenuto definitivo” (sentenza o decreto ingiuntivo) e come, invece, la cartella esattoriale costituisca, per propria natura incontrovertibile, un semplice atto amministrativo di auto-formazione privo dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato e quindi inidoneo a determinare l’effetto della c.d. conversione del termine di prescrizione breve […] in quello ordinario decennale”.

Ad oggi, dunque, in tema di prescrizione delle imposte erariali, nonostante alcune Commissioni Tributarie e alcuni Tribunali sostengano ancora la prescrizione decennale, sembra prevalere l’orientamento secondo il quale siano da considerarsi radicalmente nulli tutti i provvedimenti inviati dall’agente della riscossione al contribuente una volta decorso e maturato il termine di prescrizione quinquennale.

Un’altra problematica direttamente connessa all’eccezione di prescrizione della cartella esattoriale è quella relativa all’individuazione del giudice competente.<\p>

Oggi, la giurisdizione del giudice ordinario appare pacifica.

Nel caso di riscossione esattoriale la disciplina disegnata dal codice di procedura civile viene integrata dalle norme speciali in materia di riscossione e contenzioso tributario ex art. 49 comma 2 DPR 602/1973.

Tali norme speciali prevedono la giurisdizione tributaria esclusiva per tutte quelle cause relative agli atti elencati all’art. 19 D. Lgs. 546/1992 quali la cartella esattoriale; la giurisdizione del Giudice ordinario per quelle controversie riguardanti l’esecuzione forzata tributaria, successivi alla notifica della cartella esattoriale o, se necessaria, dell’intimazione di pagamento ex art. 50 DPR 602/1973.

L’art. 57 DPR 602/73 in merito all’opposizione all’esecuzione e alla giurisdizione ordinaria precisa che non sono ammesse: i) le opposizioni regolate dall’art. 615 del codice di procedura civile, fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni e ii) le opposizioni regolate dall’art. 617 del codice di procedura civile relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo.<\p>

Tuttavia, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 114 del 31 maggio 2018, è intervenuta in materia di esecuzione esattoriale tributaria sancendo l’ammissibilità senza limiti delle opposizioni all’esecuzione ex art. 615 del codice di procedura civile avverso gli atti di esecuzione forzata che non possono essere impugnati dinanzi alla Commissione tributaria.

In particolare, la Corte ha ritenuto incostituzionale l’art. 57, comma 1, lettera a), del DPR n. 602/1973 nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella esattoriale o all’avviso di cui all’art. 50 del DPR n. 602/1973, sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615 del codice di procedura civile.

Secondo la Consulta, laddove la censura sollevata non sia devoluta alla giurisdizione del giudice tributario bensì a quella del giudice ordinario, l’impossibilità di far valere innanzi al giudice dell’esecuzione l’illegittimità della riscossione mediante opposizione all’esecuzione (a causa dei limiti posti dal succitato art. 57) confligge con il diritto alla tutela giurisdizionale riconosciuto in generale dall’art. 24 della Costituzione e nei confronti della Pubblica Amministrazione dall’art. 113 della Costituzione, dovendo essere assicurata in ogni caso una risposta di giustizia a chi si oppone alla riscossione coattiva.<\p>

Ciò accade, per l’appunto, quando l’eccezione del contribuente sia diretta a contestare il diritto di procedere a riscossione coattiva e non già la mera regolarità formale della procedura.

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