Con la sentenza n. 8720 del 16 agosto 2017 Il Tribunale di Milano si pronunciava sulle richieste di un’artista-fotografo il quale aveva denunciato come alcune immagini di sua realizzazione fossero state abusivamente utilizzate per pubblicizzare un marchio di accessori mediante pubblicazione su alcuni quotidiani nazionali di grande tiratura e come, altresì, tali immagini fossero state riprodotte, rispetto alle originali, con alcuni tagli, coperte da scritte pubblicitarie e prive della menzione del nome dell’autore.

La società convenuta si costituiva in giudizio contestando come le immagini in questione fossero state in realtà commissionate al fotografo con l’accordo espresso sulla circostanza che le stesse sarebbero state utilizzate per campagne pubblicitarie su giornali, manifesti e cartelloni.

La società convenuta, altresì, eccepiva come, sul piano giuridico, le immagini fotografiche commissionate non potessero essere considerate “fotografie creative” quanto piuttosto “semplici fotografie” trattandosi di mere riproduzioni fotografiche di prodotti realizzate, per di più, su specifiche indicazioni fornite dalla committente stessa cui spettava, dunque, la titolarità dei relativi di ritti di riproduzione e diffusione. La società convenuta eccepiva, infine, come in virtù della natura di semplici fotografie delle immagini in questione, le doglianze dell’attore relative alla mutilazione delle immagini ed alla mancata menzione del nome dell’autore fossero infondate in virtù del fatto che all’autore di semplici fotografie non spetta alcun diritto morale.

Le norme coinvolte. Sebbene, come vedremo, il Tribunale abbia fondato la propria decisione finale sull’esame di tutti gli elementi del contratto di committenza, le parti in causa hanno invece impostato il contraddittorio sulla natura giuridica delle immagini fotografiche argomentando ciascuna in ragione del diverso regime normativo che disciplina le “fotografie creative” e le “fotografie semplici”.

Le fotografie creative, o opere fotografiche, ai sensi dell’art. 2 n. 7 Legge 633/1941 (d’ora in avanti per brevità “LA”), al pari delle altre opere dell’ingegno accedono pienamente alla tutela d’autore, e godono dei c.d. diritti morali i quali prevedono in capo all’autore dell’opera il diritto di decidere se e quando pubblicare l’opera, di rivendicarne la paternità, di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione o altra modificazione e ad ogni atto a danno della stessa.

Le fotografie semplici, cui si applicano le disposizioni previste dagli artt. 87-92 LA, al contrario, accedono ad un livello inferiore di tutelasono oggetto di diritto connesso e ai loro autori non vengono riconosciuti i diritti morali.

Più precisamente, l’art. 88 LA riconosce all’autore di fotografie semplici i diritti di utilizzazione economica (riproduzione diffusione e spaccio della fotografia) e distingue tre diverse ipotesi di appartenenza dei diritti connessi relativi alla fotografia, ovvero:

i) il caso in cui un soggetto realizza autonomamente la fotografia diventando in tal modo titolare dei relativi diritti connessi;

ii) il caso in cui la fotografia sia realizzata da un soggetto nell’adempimento di un contratto di impiego o di lavoro ove i diritti connessi spettano al datore di lavoro;

iii) per quanto in questa sede maggiormente rileva, il caso in cui la fotografia non creativa sia stata realizzata su commissione, su cose in possesso del committente e salvo pagamento di un equo corrispettivo al fotografo da parte di chi utilizza commercialmente la fotografia non creativa medesima.

Nel caso previsto dal terzo punto, entro i limiti dell’oggetto e delle finalità del contratto di commissione d’opera, i diritti connessi (di riproduzione, diffusione e spaccio) spettano al committente.

Ben si comprendere allora come il fotografo abbia sostenuto la natura creativa delle immagini, mentre, al contrario, la società convenuta abbia argomentato sostenendone la qualificazione di fotografie semplici.

Infatti, oltre all’accertamento dell’illegittima utilizzazione delle immagini, il fotografo ha chiesto al Tribunale di accertare anche la mancata menzione del nome dell’autore e l’abusiva manipolazione delle immagini stesse in violazione dei propri diritti morali che sono appunto riconosciuti solo all’autore di fotografie creative e non anche all’autore di semplici fotografie, con il risarcimento di tutti i danni conseguenti.

La società convenuta, invece, ha sostenuto come tra essa e il fotografo si sia instaurato un rapporto di committenza ai sensi del succitato art. 88 LA sulla base del quale il fotografo medesimo ha provveduto ad eseguire, su indicazioni specifiche della committente, le fotografie oggetto della controversia. La società convenuta ha quindi chiesto al Tribunale di accertare la qualificazione giuridica di “semplici fotografie” delle immagini oggetto di giudizio e, conseguentemente, di accertare in capo ad essa stessa la titolarità di ogni diritto connesso alle immagini medesime.

La decisione del Tribunale. Il Tribunale ha respinto le domande formulate dall’attore sulla dedotta abusività dell’utilizzazione delle fotografie a fini pubblicitari considerando irrilevante ai fini della propria decisione la qualificazione giuridica delle immagini come fotografie semplici o creative ed hainveceritenuto essenziali tutti quegli elementi emersi in corso di causa relativi alla stipulazione del contratto di committenza tra le parti e ai diritti di utilizzazione oggetto del rapporto contrattuale.

Secondo la sentenza in commento, infatti, sia che debba procedersi alla valutazione della titolarità e dell’ampiezza dei diritti di utilizzazione economica ai sensi dell’art. 88 co. 3 LA, sia che tale valutazione debba invece compiersi alla luce della natura di “fotografie creative” delle immagini in questione in relazione alla protezione loro accordata dall’art. 2 n. 7 LA, le pretese avanzate dal fotografo non troverebbero comunque fondamento alcuno.

Infatti, nell’ipotesi di fotografie semplici ai sensi dell’art. 88 L.A. la cessione dei diritti di utilizzazione economica in favore della società convenuta sarebbe automatica in quanto esplicitamente stabilita dalla legge.

Se, invece, si ritiene che le fotografie in questione siano creative e quindi equiparabili ad opere dell’ingegno, il Tribunale afferma come in tal caso si debba procedere alla valutazione dell’ampiezza dei diritti di utilizzazione economica ceduti in base alle risultanze ricavabili in atti e concernenti l’effettiva stipulazione di un contratto di committenza tra le parti, da compiersi mediante i comuni criteri di interpretazione della volontà delle parti medesime secondo buona fede anche in relazione al fine concreto perseguito mediante la stipulazione dell’accordo.

Nel caso in esame le parti non avevano provveduto a stipulare un contratto scritto (posto che, come anche la sentenza rileva, nel contratto di commissione d’opera anche per ciò che riguarda le opere dell’ingegno non è stabilita la necessità di forma scritta) e, perciò, il Tribunale ha compiuto le valutazioni di cui sopra esaminando gli elementi fattuali e le risultanze istruttorie.

All’esito di tale analisi, il giudicante ha ritenuto pacifico che il fotografo abbia eseguito le immagini in contestazione su commissione della società convenuta e che dette immagini abbiano ritratto i prodotti commercializzati dalla stessa convenuta. Il Tribunale ha poi rilevato come nel corso dell’istruttoria il fotografo abbia ammesso di essere stato posto a conoscenza del fatto che le fotografie in questione avrebbero avuto una finalità promozionale, ancorché il fotografo medesimo l’abbia intesa come delimitata allo sfruttamento di una sola copia da esporre nei punti vendita.

Tale delimitazione dell’oggetto del contratto – viste le esplicite e dichiarate finalità promozionali del contratto che nella normalità dei casi prevede un uso delle immagini promozionali in ogni contesto pubblicitario di comune utilizzazione – avrebbe dovuto essere provata in modo specifico dal soggetto che ne ha eccepito l’esistenza.

Il Tribunale ha invece ritenuto che il fotografo non abbia fornito tale prova e che, pertanto, egli fosse privo della titolarità dei diritti di sfruttamento economico delle immagini in questione le quali, al contrario, sono state legittimamente utilizzate dalla società convenuta per fini coerenti rispetto al contratto d’opera intercorso con il fotografo medesimo.

La sentenza in esame, dunque, sottolinea come la misura dell’acquisto dei diritti d’autore in capo al committente dipenda dall’oggetto e dallo scopo del contratto e come, altresì, eventuali circostanze limitative dei diritti acquisiti debbano essere provate da chi le invoca.

Se dunque il fotografo pretendeva di limitare i diritti della società committente ad un solo tipo di utilizzazione, egli doveva assolvere l’onere probatorio impostogli dal giudice per dar prova di eventuali accordi limitativi della misura dell’acquisto dei diritti.

Nel caso deciso dalla sentenza in commento è risultato invece palese come le fotografie fossero state commissionate per scopi promozionali e pubblicitari dei prodotti del committente e, pertanto, il Tribunale ha ritenuto coerente con l’oggetto del contratto (le finalità promozionali) il fatto che il committente fosse titolare di tutti i diritti necessari all’utilizzazione pubblicitaria in ogni contesto di comune utilizzazione.

Quanto alle ulteriori doglianze espresse dall’attore in ordine alla pretesa lesione dei diritti morali, anche questo sono state ritenute dal Tribunale infondate.

La sentenza, infine, ha respinto anche le domande proposte dal fotografo in merito alla pretesa manipolazione delle immagini mediante riduzione nella riproduzione eseguita su quotidiani, alla presenza di scritte pubblicitarie aggiunte nonché alla mancata menzione del nome dell’autore.

Il Tribunale ha giudicato tali operazioni del tutto coerenti con il fine pubblicitario del committente il quale “ha in sostanza adattato le dimensioni delle immagini allo spazio pubblicitario acquisito ed ha inserito i propri marchi accanto all’immagine senza nemmeno sovrapporli ad essa” senza cagionare nocumento alcuno al diritto morale dell’autore il quale aveva comunque preventivamente accettato l’inserimento delle sue immagini in un contesto promozionale.

Quanto alla mancata menzione del nome dell’autore, la sentenza rileva come nel caso di un’opera pubblicitaria commissionata il diritto di paternità si oppone all’eventuale illecita attribuzione a terzi della paternità dell’opera (circostanza peraltro non rilevata nel caso di specie), ma non impone che sia identificata nelle sue utilizzazioni.

La decisione del Tribunale rileva infatti come non sia stato provato che nei messaggi promozionali pubblicati su quotidiani o riviste sia d’uso menzionare il nome dell’autore delle immagini, specialmente nel caso in cui lo spazio pubblicitario sia obiettivamente ridotto come nella fattispecie.

Conclusioni. Il caso in esame suggerisce come sia preferibile regolare rapporti analoghi mediante contratto scritto e, altresì, suggerisce, in sede di redazione del contratto di commissione, di individuare con attenzione il campo d’azione del committente precisando modo, forma e mezzi dello sfruttamento pubblicitario delle fotografie.

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