Social media e media tradizionali sono ormai saturi di messaggi promozionali fondati quasi esclusivamente sull’uso commerciale dell’immagine delle persone.

Accanto all’aspetto personalistico e identitario tipico dei diritti della personalità cui il diritto in questione appartiene, tali prassi commerciali hanno fatto emergere in maniera preponderante i contenuti economici e patrimoniali del diritto all’immagine.

In linea con questa visione dualista la dottrina più recente ha affermato come il diritto all’immagine abbia una natura mista, ove gli interessi e le facoltà morali della persona ritrattata coabitano con le facoltà patrimoniali connesse al diritto medesimo.

È opportuno quindi interrogarsi sul tipo di protezione che l’ordinamento offre all’immagine creata ed utilizzata a scopi commerciali.

Il concetto giuridico di immagine è espresso dall’art. 10 del Codice Civile il quale tutela l’abuso dell’immagine altrui, il ritratto è invece disciplinato dagli artt. 8 del Codice della Proprietà Industriale e 96, 97 e 98 della Legge sul Diritto d’Autore (L. 633/1941, d’ora in avanti LA).

Sebbene il Codice Civile parli di “immagine” e la Legge sul Diritto d’Autore di “ritratto”, i termini sono spesso usati come sinonimi e, in linea di massima, dottrina e giurisprudenza definiscono concordemente il diritto all’immagine come il diritto sul proprio ritratto e su ogni elemento che connota e qualifica la persona esteriorizzandone la specifica soggettività.

L’art. 96 comma 1 LA dispone che “il ritratto di una persona non può essere espostoriprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell’articolo seguente”.

Dal dettato normativo si evince come la persona abbia innanzitutto la facoltà di riproduzione, da intendersi non solo come “moltiplicazione”, ma soprattutto come possibilità di prima fissazione del ritratto. Questa facoltà rappresenta il nucleo fondamentale del diritto patrimoniale: in primo luogo perché tramite la fissazione l’immagine diviene ritratto utile all’uso commerciale e promozionale e, in secondo luogo, perché il momento della fissazione dell’immagine, ovvero della creazione del ritratto, consente di individuare il momento in cui tutti i diritti di esclusiva sul ritratto medesimo vengono ad esistere.

La norma riserva poi al titolare del diritto le facoltà di esposizionedistribuzionecomunicazione al pubblico e messa in commercio.

Dette facoltà esclusive sono tra loro indipendenti: ciò vuol dire che il consenso alla fissazione dell’immagine (creazione del ritratto) per ciò solo non si estende alle altre. Al contrario, laddove vi sia il consenso all’esposizione o alla messa in commercio, deve ritenersi implicitamente consentita anche la riproduzione degli esemplari all’uopo necessari.

diritti patrimoniali sopra individuati sono poi limitati dalle eccezioni formulate dall’art. 97 comma 1 LA ai sensi del quale “non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico”.

Le eccezioni elencate dalla disposizione predetta sono tassative e collegate ad esigenze di pubblica informazione le quali, sole, consentono la riproduzione del ritratto di un personaggio senza il suo preventivo consenso.

Come ben evidenziato dalle norme citate, il nodo centrale dell’utilizzo dell’immagine altrui è rappresentato dal consenso della persona ritrattata. Ciò che l’ordinamento subordina al consenso è la divulgazione dell’immagine e non l’esecuzione del ritratto.

Il consenso non è soggetto a requisiti di forma e può essere reso sia in forma espressa sia implicitamente (ovvero in forma tacita). Quando il consenso è espresso, l’autorizzazione alla divulgazione dell’immagine dovrà rispettare i limiti di tempo e luogo, nonché lo scopo e le forme, previste dall’atto con cui il consenso medesimo sia stato espresso.

Se il consenso, al contrario, è tacito, i limiti alla divulgazione dell’immagine si ricaveranno attraverso l’interpretazione del comportamento della persona ritrattata (Cass. n. 3014/2004).

Dunque, per garantire al meglio la tutela del soggetto rappresentato, occorre verificare in modo rigoroso l’effettiva esistenza di un consenso, sia espresso oppure tacito, delineandone i limiti all’utilizzazione (commerciale e non).

Ad esempio, il consenso prestato da un attore per l’uso di una foto di scena, in assenza di un accordo scritto che disponga diversamente, dovrà ritenersi limitato alle utilizzazioni aventi finalità promozionali del film e, al contrario, sarà estranea a tale consenso, e dunque illecita, la pubblicazione della medesima foto in altre operazioni con autonoma rilevanza economica e prive di nesso strumentale con lo sfruttamento dell’opera cinematografica (Corte d’Appello di Roma 8-9-1986).

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 1748 del 29 gennaio 2016, ha poi stabilito l’importante principio secondo il quale “il consenso alla pubblicazione della propria immagine costituisce un negozio unilaterale, avente ad oggetto non il diritto, personalissimo ed inalienabile, all’immagine, che in quanto tale non può costituire oggetto di negoziazione, ma soltanto l’esercizio di tale diritto. Il consenso in parola, pertanto, sebbene possa essere occasionalmente inserito in un contratto, resta tuttavia distinto ed autonomo dalla pattuizione che lo contiene, con la conseguenza che esso è sempre revocabile, quale che sia il termine eventualmente indicato per la pubblicazione consentita, ed a prescindere dalla pattuizione del compenso, che non costituisce un elemento del negozio autorizzativo in questione, stante la natura di diritto inalienabile e, quindi, non suscettibile di valutazione in termini economici rivestita dal diritto in discussione”.

Essendo il diritto all’immagine un diritto strettamente personale, pertanto, soltanto il titolare può decidere di commercializzare la propria immagine associandola ad un determinato prodotto o servizio, e tale sfruttamento commerciale, se avviene senza il consenso dell’interessato previsto dall’art. 96 LA, configura illecito utilizzo dell’immagine altrui ai sensi dell’art. 10 del Codice Civile.

Le norme citate tutelano ogni modalità di rappresentazione del soggetto raffigurato, siano esse riferite all’aspetto fisico, alle qualità ed alla rappresentazione globale della personalità, elementi evocativi compresi.

Ad oggi sono due i casi affrontati dai Tribunali italiani nei quali lo sfruttamento illecito (per mancanza del consenso) dell’immagine altrui è avvenuto senza la riproduzione dei tratti somatici della persona.

La decisione più risalente è della Pretura di Roma (18.4.1984) che ha giudicato lesiva del diritto d’immagine del cantante Lucio Dalla una campagna pubblicitaria ove si faceva uso di due elementi tipici del look dell’artista: lo zucchetto di lana e gli occhialini a binocolo da questo indossati abitualmente e che, combinati tra loro, ancora oggi ne evocano la persona.

Più di recente, il Tribunale di Milano (21 gennaio 2015) ha ritenuto illecito lo sfruttamento non autorizzato dell’immagine dell’attrice Audrey Hepburn per una campagna pubblicitaria promossa da un’azienda di prodotti tessili per la casa.

L’immagine della pubblicità rappresentava la fotografia di una modella, ritratta di spalle, intenta ad osservare la vetrina di una gioielleria. Nonostante i tratti somatici non fossero visibili, la modella era raffigurata con la stessa acconciatura, il medesimo abito nero, i lunghi guanti neri, gli occhiali scuri e i gioielli che avevano caratterizzato il personaggio interpretato da Audrey Hepburn nel film “Colazione da Tiffany”.

Secondo il Tribunale di Milano tali elementi, anche se estranei al ritratto della Hepburn erano idonei, in quanto fortemente evocativi, a richiamare inequivocabilmente alla mente l’attrice e, pertanto, come premesso, la pubblicità è stata giudicata come sfruttamento non autorizzato della sua immagine.

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